Il quesito (del COA di Paola) verte sulla possibilità, per i laureati in giurisprudenza che abbiano compiuto un percorso universitario quinquennale, di svolgere un solo anno di pratica forense in vece dei prescritti due, onde evitare sperequazioni ingiuste rispetto a coloro che siano in possesso della precedente laurea conseguita al termine di studî quadriennali.

La Commissione, dopo ampia discussione, adotta il seguente parere:

“La legge professionale forense (art. 8 R.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578) prevede l’iscrizione nel registro dei praticanti da parte dei “laureati in giurisprudenza”.

Non può esservi dubbio alcuno sulla circostanza che, con tale termine, si intenda designare coloro che abbiano compiuto l’intero percorso di studî previsto dall’ordinamento universitario, escludendo le forme di laurea “breve” succedutesi nel corso delle recenti riforme.

La laurea in giurisprudenza era originariamente articolata in un percorso formativo unico di quattro anni, ed è stata in un primo tempo riformata adeguandola al generale modello invalso per altri corsi di studio, ossia quello di un primo periodo triennale, al termine del quale era conferita una prima laurea, seguito da un percorso formativo specialistico biennale, che permette di conseguire la “laurea specialistica”. Da ultimo si è opportunamente riconosciuta la specificità degli studî giuridici e le esigenze manifestate dalle professioni legali, provvedendo (cfr. D.M. 21 dicembre 2005, in G.U. 16 marzo 2006, n. 63) a riportare la “laurea in giurisprudenza” ad un ciclo unico, sostanzialmente articolato sulla base di un quinquennio (cd. “modello 4+1”).

Il titolo conseguito al termine del corso di studî universitarî ha assunto la denominazione di “laurea magistrale”, in conformità a quanto previsto in via generale dall’art. 3 del D.M. MIUR 22 ottobre 2004 (in G.U. 12 novembre 2004, n. 266).

Convivono, perciò, ad oggi tre differenti titoli di studio, corrispondenti ai tre periodi che hanno caratterizzato la ricordata riforma dell’università.

La completa corrispondenza tra i tradizionali diplomi di laurea e le “classi delle lauree specialistiche” è statuita, ai fini dei pubblici concorsi, dal D.M. MIUR 5 maggio 2004, in G.U. 21 agosto 2004, n. 196. La stessa norma è oggi applicata anche con riguardo ai nuovi titoli “magistrali”.

In relazione al richiamato quadro normativo non può che confermarsi il costante pregresso orientamento di questa Commissione (cfr. pareri 22 novembre 2005, nn. 78 e 79 e 22 novembre 2006, n. 77), volti a chiarire la completa corrispondenza tra la qualità di “dottore in giurisprudenza” contemplata dall’ordinamento professionale con quella di “dottore magistrale” oggi posseduta dai neolaureati.

Le norme sulla professione forense fanno riferimento al conseguimento del titolo di studio universitario quale requisito per l’iscrizione nel registro dei praticanti, senza occuparsi, chiaramente, dell’organizzazione didattica universitaria. Pertanto la diversa durata del corso di studî non è rilevante in punto di diritto, poiché è conseguenza di scelte discrezionali del legislatore, improntate al principio di ragionevolezza.

Resta quindi ferma, in ossequio al dato normativo, la necessità di una pratica biennale, indipendentemente dalla durata del precedente corso di laurea (con esclusione, come sopra detto, dei corsi di laurea “breve” triennali)”.

Consiglio Nazionale Forense (rel. Florio), parere del 12 dicembre 2007, n. 54

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, ordinanza n. 54 del 12 Dicembre 2007
- Consiglio territoriale: COA Paola, delibera (quesito)
Prassi: pareri CNF

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