Il quesito (del COA di Catania) concerne il caso di laureata in giurisprudenza presso la “Università Ecologica” di Bucarest che chiede l’iscrizione nel registro dei praticanti avvocati.

La Commissione, dopo ampia discussione, fa propria la proposta del relatore e rende il seguente parere:

“Va confermato in proposito l’orientamento già espresso dalla Commissione, in particolare e da ultimo nei pareri 25 maggio 2005, n. 49, 24 maggio 2006, n. 28 (quest’ultimo con riguardo a cittadini extracomunitari) e 9 luglio 2008, n. 30.
Il titolo di studi è considerato dal diritto comunitario sotto un duplice profilo: innanzitutto come attestato di un percorso formativo in sé, e in secondo luogo come titolo abilitante all’esercizio di determinate attività professionali regolamentate.
Nel caso di specie il diploma di laurea in giurisprudenza acquisito all’estero può assumere rilievo accademico-formativo, e dunque essere riconosciuto ai fini della prosecuzione degli studi, a scopo concorsuale o ad altri fini, ovvero può essere considerato come il titolo presupposto per l’accesso (ed il successivo esercizio) alla professione forense.
Nel primo caso, ossia ai fini della piena equiparazione della laurea rumena a quella italiana, la normativa applicabile è quella internazionale pattizia. Infatti Italia e Romania hanno entrambe sottoscritto e ratificato la “Convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore nella Regione europea”, fatta a Lisbona l’11 aprile 1997 (nel caso italiano la ratifica è avvenuta con la legge 11 luglio 2002, n. 148 e l’atto è divenuto operativo nel nostro ordinamento dal 26 luglio 2002).
La legge che ha autorizzato la ratifica della citata Convenzione (l. 11 luglio 2002, n. 148) ha previsto una procedura differenziata di riconoscimento del titolo di studio in relazione all’utilizzo che l’interessato intenda fare del titolo in suo possesso. Se lo scopo è la prosecuzione degli studi accademici viene attribuita ai singoli Atenei, nell’ambito della loro autonomia e in conformità ai rispettivi ordinamenti, la competenza a provvedere sulle domande di riconoscimento (art. 2). Negli altri casi di spendita del titolo, tra cui anche l’ammissione a tirocini professionali, si è prevista una procedura centralizzata di verifica, di competenza del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (art. 5). Il percorso di riconoscimento in questione è stato disciplinato nel dettaglio da ultimo con D.P.R. 30 luglio 2009, n. 189 (entrato in vigore il 12 gennaio 2010).
La laureata in giurisprudenza potrà, ove intenda percorrere la via del riconoscimento del titolo, presentare domanda di riconoscimento rispettivamente presso un’Università della Repubblica che rilasci la laurea in giurisprudenza ovvero al Ministero dell’Istruzione. Il riconoscimento operato dal M.I.U.R. ovviamente consentirà all’interessato – in presenza degli altri requisiti di legge – l’iscrizione al registro dei praticanti, previa domanda al competente COA, che dovrà attenersi a quanto accertato dal Ministero.
Se, viceversa, la cittadina comunitaria intende valersi del proprio diploma di laurea al fine esclusivo e specifico di essere iscritta nel registro dei praticanti avvocati, in tale secondo caso spettano al Consiglio dell’ordine competente per territorio le relative valutazioni.
A tal proposito, la più recente giurisprudenza comunitaria -ed in particolare la sentenza 13 novembre 2003, nella causa C-313/01- Morgenbesser, recepita dalla giurisprudenza interna (Cass. Sezioni unite, 19 aprile 2004, n. 7373) ha precisato che il rifiuto dell’iscrizione non può essere dovuto per il solo fatto che il titolo proviene da istituzione accademica straniera.
La sentenza ha posto il principio che “il diritto comunitario si oppone al rifiuto da parte delle autorità di uno Stato membro di iscrivere, nel registro di coloro che effettuano il periodo di pratica necessario per essere ammessi alla professione di avvocato, il titolare di una laurea in giurisprudenza conseguita in un altro Stato membro per il solo motivo che non si tratta di una laurea in giurisprudenza conferita, confermata o riconosciuta come equivalente da un’università del primo Stato”. Così che “spetta all’autorità competente verificare, …, se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato in un altro Stato membro e le qualifiche o l’esperienza professionale ottenute in quest’ultimo, nonché l’esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni richieste per accedere all’attività di cui trattasi”.
Più precisamente ed in dettaglio è precisato non trattarsi “di una semplice questione di riconoscimento di titoli accademici, … per quanto pertinente e persino determinante per l’iscrizione” agli albi e registri professionali, poiché in casi siffatti non va verificata soltanto “l’equivalenza accademica del diploma di cui si avvale l’interessato rispetto al diploma normalmente richiesto ai cittadini dello stato ospitante”, ma la presa in considerazione del titolo accademico dev’essere “effettuata nell’ambito della valutazione dell’insieme della formazione, accademica e professionale” che l’istante può far valere.
La procedura di valutazione, che l’autorità competente dello Stato membro ospitante (che va identificata nel Consiglio dell’ordine che tiene il registro nel quale l’iscrizione è richiesta) ha il dovere di compiere, deve tendere ad “assicurarsi obiettivamente che il diploma straniero attesti, da parte del suo titolare, il possesso di conoscenze e di qualifiche, se non identiche, quanto meno equivalenti a quelle attestate dal diploma nazionale. Tale valutazione dell’equivalenza del diploma straniero deve effettuarsi esclusivamente in considerazione del livello delle conoscenze e delle qualifiche che questo diploma, tenuto conto della natura e della durata degli studi e della formazione pratica di cui attesta il compimento, consente di presumere in possesso del titolare”. Nel contesto di questo esame l’autorità competente dello Stato membro “può tuttavia prendere in considerazione differenze obiettive relative tanto al contesto giuridico della professione considerata nello Stato membro di provenienza quanto al suo campo di attività. Nel caso della professione di avvocato, lo Stato membro ha pertanto il diritto di procedere ad un esame comparativo dei diplomi tenendo conto delle differenze rilevate tra gli ordinamenti giudiziari nazionali interessati”. Se “a seguito di tale confronto emerge una corrispondenza solo parziale tra dette conoscenze e qualifiche, lo Stato membro ospitante ha il diritto di pretendere che l’interessato dimostri di aver maturato le conoscenze e le qualifiche mancanti”. Ed a questo proposito “spetta alle autorità nazionali competenti valutare se le conoscenze acquisite nello Stato membro ospitante nel contesto di un ciclo di studi ovvero anche di un’esperienza pratica siano valide ai fini dell’accertamento del possesso delle conoscenze mancanti”.
Sul punto si registra un’ulteriore recente pronuncia della medesima Corte di Giustizia, la quale – con la sentenza 10 dicembre 2009 nella causa C-345/08 – dà conto più in dettaglio dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali cui il Consiglio circondariale è chiamato. In particolare si affronta la questione se la valutazione possa avere ad oggetto le specifiche caratteristiche dell’ordinamento giuridico del Paese ospitante (nel nostro caso quello italiano). Afferma a tal proposito la Corte che “le conoscenze attestate dal diploma rilasciato in un altro Stato membro e le qualificazioni e/o l’esperienza professionale ottenute in altri Stati membri nonché l’esperienza acquisita nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto devono essere esaminate in riferimento alla qualificazione professionale richiesta dalla normativa dello Stato membro ospitante” concludendo quindi che “le conoscenze da prendere come elemento di riferimento ai fini della valutazione dell’equipollenza delle formazioni in seguito ad una domanda di ammissione diretta ad un tirocinio preparatorio alle professioni legali, senza sostenere le prove previste a tale scopo, sono quelle attestate dalla qualificazione richiesta nello Stato membro in cui il candidato chiede di accedere ad un tirocinio siffatto”.
Agli effetti pratici la Corte, nella medesima pronuncia, indica che l’Autorità nazionale che procede alla valutazione (nel caso di specie il Consiglio dell’Ordine) avrà il diritto di “richiedere che l’interessato dimostri di aver acquisito le conoscenze e le qualificazioni mancanti”, ossia tutti gli elementi di conoscenza che non siano comprovati dal curriculum formativo.
In conclusione, dunque, il Consiglio dell’Ordine a cui sia richiesta l’iscrizione nel registro dei praticanti di un laureato in giurisprudenza presso università straniere può verificare che il candidato possieda tutte le conoscenze non documentate nel percorso formativo prodotto e comunque propedeutiche allo svolgimento del tirocinio forense in Italia.
La giurisprudenza comunitaria risulta pienamente recepita dal Consiglio nazionale forense che in sede giurisdizionale ha condotto esame di merito dei requisiti per l’iscrizione, confermando in un caso (29 maggio 2006, n. 35) il diniego del Consiglio territoriale e riformandolo in altro caso (8 ottobre 2007, n. 141).
Sarà, in conclusione, il Consiglio dell’ordine che dovrà valutare la completezza del percorso formativo della richiedente, svolto presso l’università romena citata nel quesito (i cui elementi si trovano al sito web www.ueb.ro), ai fini del proficuo svolgimento del tirocinio professionale, considerando la documentazione da questa prodotta in relazione al sistema giudiziario ed accademico di provenienza, al corso degli studi scelto e proficuamente concluso, all’adeguatezza del piano di studi seguito rispetto alle esigenze della formazione forense.”

Consiglio Nazionale Forense (rel. Bianchi), parere del 22 aprile 2010, n. 12

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 12 del 22 Aprile 2010
- Consiglio territoriale: COA Catania, delibera (quesito)
Prassi: pareri CNF

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