La rilevanza deontologica di un comportamento prescinde dalla sua eventuale liceità civile o penale

In tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati, l’illiceità dei comportamenti deve essere valutata solo in relazione alla loro idoneità a ledere la dignità e il decoro professionale, a nulla rilevando che i suddetti comportamenti non siano configurabili anche come illeciti civili e o penali; la relativa valutazione è apprezzamento proprio del giudice disciplinare ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivata. E’ pertanto irrilevante in sede deontologica che per i fatti disciplinarmente rilevante non sia stata presentata denuncia/querela o che non sia stato comunque aperto alcun procedimento penale, trattandosi di circostanze che non escludono la violazione dei doveri di probità, dignità e decoro fissati nell’art. 5 del C.D., ai quali l’avvocato deve ispirare la propria condotta (Nel caso di specie, l’incolpato aveva rivolto espressioni offensive nei confronti di un magistrato, che tuttavia non aveva sporto querela).

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Salazar), sentenza del 17 ottobre 2013, n. 185
NOTA:
In senso conforme, tra le altre, Cassazione Civile, sentenza del 23-07-2001, n. 10014, sez. U- Pres. Iannotta A- Rel. Varrone M- P.M. Cinque A (conf.)

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 185 del 17 Ottobre 2013 (respinge) (censura)
- Consiglio territoriale: COA Ancona, delibera del 29 Novembre 2010 (censura)
Giurisprudenza CNF

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