Il quesito (del COA di Pisa) riguarda la competenza della Commissione per l’accesso agli atti amministrativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri a conoscere dei ricorsi nei casi di diniego dell’accesso ad atti dei Consigli locali dell’ordine forense.

Dopo ampia discussione, la Commissione fa propria la proposta del relatore e, premesso che la rilevante portata generale del caso sottoposto nonché l’assenza di qualsiasi potenziale interferenza con l’attività giurisdizionale consentono di ritenere ammissibile il quesito, adotta il seguente parere:

«Se appare scontata la natura pubblicistica dei Consigli dell’ordine forense anche nelle loro articolazioni locali e quindi la loro appartenenza alla “pubblica amministrazione” agli effetti della legge 241/1990, la competenza della Commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, quale istanza sovraordinata per i ricorsi nei casi di diniego d’accesso, risulta avere un ambito oltremodo più ristretto, mentre – in punto di competenza – la decisione adottata dalla Commissione nel caso non appare convincente, fondata com’è su giurisprudenza non in termini.
Del segnalato distinto ambito di operatività è evidente segnale letterale e sistematico, interno alla normativa di cui alla legge citata, la sensibile differenza espressiva tra la definizione di cui all’art. 22, comma 1, lettera e), che intende quale pubblica amministrazione alla quale è dichiarata applicabile la disciplina dell’accesso “tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”, e la limitazione, invece, della richiesta di riesame da rivolgersi alla predetta Commissione per l’accesso agli “atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato” (art. 25). Analoga distinzione appare chiara nell’articolo 29 della stessa legge.
Il concentrico disegno che ne emerge porta evidentemente ad escludere dallo speciale rimedio giustiziale gli atti di diniego provenienti da soggetti che non siano amministrazioni dello Stato.
I Consigli dell’ordine degli avvocati (tanto nell’espressione centrale quanto nelle periferiche) sono senza dubbio e notoriamente enti pubblici non economici ad appartenenza necessaria (per un approfondito esame, anche sotto il profilo storico, della loro evoluzione e dello stato giuridico attuale, si veda: G. Colavitti, Rappresentanza e interessi organizzati, Milano, 2005, pagg. 251 e seguenti in particolare). Ancorché l’interesse pubblico che perseguono, finalizzato a garantire il corretto esercizio della professione a tutela dell’affidamento della collettività, abbia dimensione nazionale e sia infrazionabile (Corte Costituzionale, sentenza 3 novembre 2005, n. 405), essi non appaiono tuttavia in alcun modo riconducibili all’”Amministrazione dello Stato”.
In tal senso è tra l’altro costante la giurisprudenza della Corte di Cassazione (per la quale si vedano, tra le altre, le sentenze 1 febbraio 1995, n. 1115; 2 aprile 2001, n. 4788; 13 aprile 2001, n. 5566; 3 maggio 2005, n. 9097; 28 marzo 2006, n. 7094; 10 maggio 2007, n. 10704), in linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee. La suprema Corte, pronunciando particolarmente in tema di tariffe ed ordinamento deontologico, è ferma nel considerare l’espressione centrale degli ordini professionali in genere e di quello forense in particolare quale “autorità non statale”, pure dotata di autonomo potere regolamentare che ripete la sua disciplina da leggi speciali. Anzi: proprio sull’alterità dell’ordine forense rispetto allo Stato, la Corte di Giustizia fonda la compatibilità del regime tariffario con la disciplina comunitaria della concorrenza.
Il quesito, pertanto, va risolto nel senso dell’incompetenza della Commissione».

Consiglio Nazionale Forense (rel. Bianchi), parere del 11 dicembre 2008, n. 39

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 39 del 11 Dicembre 2008
- Consiglio territoriale: COA Pisa, delibera (quesito)
Prassi: pareri CNF

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