Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Genova chiede di sapere se sussista l’incompatibilità di cui all’art. 3 R.D.L. 27/11/1933 n. 1578 (a norma del quale l’esercizio della professione forense è incompatibile “con l’esercizio del commercio in nome proprio ed altrui”) per un avvocato che ricopra la carica di Amministratore Unico di una società di capitali, di esclusiva proprietà dei soci dello studio legale, il cui unico cespite sia costituito dalla proprietà dell’immobile ove l’associazione professionale esercita l’attività.

Va preliminarmente precisato che il dubbio può porsi solo nell’ipotesi in cui l’avvocato sia anch’egli socio dello studio legale interessato perché, ove così non fosse, dovrebbe sicuramente ravvisarsi un’ipotesi di incompatibilità in ragione di una carica ricoperta in una società proprietaria di immobili nel cui oggetto sociale rientri la compravendita e/o la gestione degli stessi.
La ratio della norma richiamata è infatti quella di tutelare la professione e, in particolare, l’autonomia di giudizio, di valutazione tecnico-giuridica e di iniziativa processuale ed extraprocessuale dell’avvocato nell’interesse del cliente evitando tutte quelle attività commerciali idonee ad incidere negativamente sul libero esercizio professionale perché rivolte alla cura di particolari e diversi interessi.
Non vi è dubbio che vada riconosciuta natura di impresa commerciale ad una società che sia proprietaria di beni immobili, secondo la nozione di imprenditore commerciale delineata e delimitata dagli artt. 2082 c.c. e 2195 e che lo scopo di lucro, che integra requisito essenziale della nozione di impresa, sussista nel caso in esame nella sua accezione più ampia e cioè di “attività svolta con modalità astrattamente lucrative”.
L’immobile nel quale è allocato lo studio associato e/o l’associazione costituisce quindi una parte dell’ampia organizzazione volta a fornire al cliente quella prestazione intellettuale cui concorrono i soci, i collaboratori, i dipendenti, i macchinari ed i beni di consumo e “pur non essendo di per sé suscettibile di produrre reddito in senso stretto” vi concorre in via mediata e con tutti gli altri elementi che costituiscono l’organizzazione dello studio legale associato: non è quindi un “immobile merce” ma un “immobile strumentale” per natura e destinazione.
Da tanto non può però farsi automaticamente discendere l’esclusione dello scopo di lucro anche perché dalla particolare utilizzazione del bene (il reddito catastale degli immobili utilizzati esclusivamente per l’attività professionale ed artistica non deve infatti essere indicato nella dichiarazione dei redditi ex D.P.R. 22/12/1986 n. 917) discende ipso facto la percezione di un utile e/o di un lucro soggettivo sotto forma di minori oneri fiscali, e/o semplificazione a livello amministrativo e/o di gestione del bene che favoriscono il perseguimento di interessi e di utilità professionali comuni che devono comunque essere valutati al di là del formale raggiungimento di una mera parità di bilancio.
La ragione dell’incompatibilità discende quindi dall’assunzione di una carica sociale che comporta poteri di gestione e di rappresentanza essendo irrilevante la distinzione tra effettività dell’attività commerciale e titolarità della carica incompatibile posto che quest’ultima abilita comunque allo svolgimento “dell’esercizio del commercio”.
La ratio dell’incompatibilità (che è quella di evitare i condizionamenti all’esercizio indipendente della professione…) verrebbe infatti elusa dalla potenziale idoneità della carica sociale a compromettere l’indipendenza dell’avvocato, assoggettandola alle dinamiche della concorrenza.
Anche nel contesto delineato dal quesito la costituzione della società e l’attribuzione in proprietà alla stessa di un bene immobile, ancorché con fini di mero godimento, comporta quindi per l’avvocato (che ricopra cariche sociali) una violazione della ratio del principio di incompatibilità, posto che la carica stessa implica un cointeressenza all’attività commerciale e, comunque, una abilitazione all’esercizio della stessa.
Deve pertanto ritenersi che sussista l’incompatibilità tra l’esercizio della professione forense e la carica di Amministratore Unico di una società di capitali, di esclusiva proprietà dei soci dello studio legale, il cui unico cespite sia costituito dalla proprietà dell’immobile ove l’associazione professionale esercita l’attività. Al quesito proposto deve quindi fornirsi risposta positiva.

Consiglio Nazionale Forense (rel. Picchioni), parere del 24 maggio 2012, n. 28

(Quesito n. 65)

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 28 del 24 Marzo 2012
- Consiglio territoriale: COA Genova, delibera (quesito)
Prassi: pareri CNF

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