L’istanza al giudice che allude ad un profonda sfiducia nella magistratura ha rilievo deontologico

La violazione dell’art. 53 cdf, che impone al professionista di mantenere con il giudice un rapporto improntato alla dignità ed al rispetto della persona del giudicante e del suo operato, si configura anche nell’utilizzo di espressioni sconvenienti in quanto dirette consapevolmente ad insinuare nei confronti del magistrato il sospetto di illiceità ovvero la violazione del dovere di imparzialità nell’esercizio delle funzioni. La tutela del diritto di difesa critica, il cui esercizio non può travalicare i limiti della correttezza e del rispetto della funzione, non può tradursi, ai fini dell’applicazione della relativa “scriminante”, in una facoltà di offendere, dovendo in tutti gli atti ed in tutte le condotte processuali rispettarsi il dovere di correttezza, anche attraverso le forme espressive utilizzate (Nel caso di specie, l’avvocato aveva richiesto l’anticipazione di una udienza chiosando l’istanza con la frase “Si confida nella Giustizia (se ne esiste ancora un barlume!)”. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare della censura).

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Corona, rel. Pizzuto), sentenza n. 57 del 27 marzo 2023

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 57 del 27 Marzo 2023 (respinge) (censura)
- Consiglio territoriale: CDD Catanzaro, delibera del 23 Novembre 2020 (sospensione)
Giurisprudenza CNF

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