L’illecito deontologico può essere “consumato” o “tentato”

L’art. 38 del r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 sull’ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore, il quale, nel fare riferimento, quali comportamenti che possono dar luogo a profili di responsabilità disciplinare, accanto agli “abusi o mancanze nell’esercizio” della professione, a “fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale”, ricomprende in tale ampia previsione sia fatti consumati che tentati. In particolare, con riguardo alla fattispecie di accaparramento di clientela, il principio della sufficienza, ai fini della configurabilità dell’illecito, della potenzialità della condotta, è ricavabile anche dall’art. 19 del codice deontologico adottato dal Consiglio Nazionale Forense, che vieta, oltre alla “offerta di prestazioni professionali a terzi”, anche in genere “ogni attività diretta all’acquisizione di rapporti di clientela, a mezzo di agenzie o procacciatori o altri mezzi illeciti”, senza richiedere che l’agente raggiunga lo scopo attraverso l’acquisizione di un cliente.

Cassazione Civile, sez. U, 20 maggio 2005, n. 10601- Pres. Carbone V- Rel. Falcone G- P.M. Iannelli D (Conf.)

Giurisprudenza Cassazione

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