La rilevanza deontologica di un comportamento prescinde dalla sua eventuale liceità civile o penale

Nell’autonomia riconosciuta dall’Ordinamento per la definizione dell’illecito deontologico, lo stesso ben può sussistere pur non costituendo illecito né civile né penale. Infatti, le ragioni e i principi che presiedono al procedimento disciplinare hanno ontologia diversa rispetto a quelli che attengono al governo dei diritti soggettivi, riguardando la condotta del professionista quale delineata attraverso l’elaborazione del codice deontologico forense e quale risultante dal dovere di correttezza e lealtà che deve informare il comportamento dello stesso; diversi sono i presupposti e le finalità che sottendono all’esercizio disciplinare e che con il provvedimento amministrativo si perseguono; diversa è l’esigenza di moralità che è tutelata nell’ambito professionale. L’illiceità disciplinare del comportamento posto in essere dal professionista deve, infatti, essere valutata solo in relazione alla sua idoneità a ledere la dignità e il decoro professionale, a nulla rilevando anche l’eventualità che tali comportamenti non siano configurabili anche come illeciti civili.

Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Secchieri), sentenza del 1° dicembre 2017, n. 199

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 199 del 01 Dicembre 2017 (respinge) (sospensione)
- Consiglio territoriale: COA Ravenna, delibera del 11 Marzo 2014 (sospensione)
Giurisprudenza CNF

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