Il dovere di verità nei rapporti con i colleghi

L’avvocato non assume responsabilità per la ricostruzione dei fatti fornitagli dal cliente, ma deve astenersi tanto da accuse consapevolmente false (art. 50 ncdf, già art. 14 codice previgente) quanto da critiche personali verso il collega (art. 42 ncdf, già art. 29 codice previgente). Pertanto, laddove un avvocato si trovi nella condizione di non poter seguire allo stesso tempo verità e mandato, leggi e cliente, la sua scelta deve privilegiare il più alto e pregnante dovere radicato sulla dignità professionale, ossia l’ossequio alla verità ed alle leggi spinto fino all’epilogo della rinunzia al mandato in virtù di un tale giusto motivo, astenendosi dal porre in essere attività che siano in contrasto con il prevalente dovere di rispetto della legge e della verità (Nel caso di specie, l’avvocato accusava il Collega di mala gestio nell’espletamento dell’incarico di amministratore di sostegno, circostanza del tutto sconfessata anche dal Giudice Tutelare che aveva sempre approvato la condotta dello stesso, rimarcandone l’alto senso di professionalità. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare della censura).

Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Sica), sentenza del 19 marzo 2018, n. 8

NOTA:
In senso conforme, tra le altre, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Logrieco, rel. Picchioni), sentenza del 28 dicembre 2017, n. 252.

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 8 del 20 Marzo 2018 (respinge) (censura)
- Consiglio territoriale: COA Venezia, delibera del 05 Febbraio 2014 (censura)
Giurisprudenza CNF

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