Depenalizzazione del reato di ingiuria: la rilevanza deontologica di un comportamento prescinde dalla sua eventuale liceità civile o penale

La recente depenalizzazione del reato di ingiuria non spiega alcun effetto in ambito deontologico giacché, nell’autonomia riconosciuta dall’Ordinamento per la definizione dell’illecito deontologico, lo stesso ben può sussistere pur non costituendo illecito né civile né penale. Infatti, le ragioni e i principi che presiedono al procedimento disciplinare hanno ontologia diversa rispetto a quelli che attengono al governo dei diritti soggettivi, riguardando la condotta del professionista quale delineata attraverso l’elaborazione del codice deontologico forense e quale risultante dal dovere di correttezza e lealtà che deve informare il comportamento dello stesso; diversi sono i presupposti e le finalità che sottendono all’esercizio disciplinare e che con il provvedimento amministrativo si perseguono; diversa è l’esigenza di moralità che è tutelata nell’ambito professionale. L’illiceità disciplinare del comportamento posto in essere dal professionista deve, infatti, essere valutata solo in relazione alla sua idoneità a ledere la dignità e il decoro professionale, a nulla rilevando anche l’eventualità che tali comportamenti non siano configurabili anche come illeciti civili.

Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Napoli), sentenza n. 72 del 24 giugno 2020

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 72 del 24 Giugno 2020 (respinge) (sospensione)
- Consiglio territoriale: CDD Bologna, delibera del 04 Ottobre 2016 (sospensione)
- Decisione correlata: Corte di Cassazione n. 11419 del 30 Aprile 2021 (respinge)
Giurisprudenza CNF

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