Avvocato – Tenuta degli albi – Dipendente pubblico – Impiego part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Cancellazione – Questione di legittimità costituzionale – Manifesta infondatezza – Violazione diritti quesiti – Esclusione – Principi comunitari in materia di concorrenza – Irrilevanza – Disapplicazione – Esclusione

Va esclusa l’Illegittimità del provvedimento di cancellazione dall’albo del dipendente pubblico part-time derivante dall’asserita illegittimità costituzionale dell’art. 2 L. n. 339/03, per contrasto con gli artt. 3, 4, 35 comma 1, e 41 Cost. e con i principi della sicurezza giuridica e della tutela del legittimo affidamento, nonché dell’art. 1 della stessa legge per la mancata previsione di norma transitoria che tuteli i diritti quesiti, atteso che non esiste nel nostro ordinamento un principio di carattere generale, tanto più costituzionalmente presidiato, che garantisca la stabilità effettuale della situazione normativa a cospetto della quale un soggetto abbia eventualmente esercitato i suoi diritti, diversamente negandosi in nuce il potere discrezionale del legislatore di modificare il regime normativo preesistente e le aspettative (non i diritti) di tutela dei professionisti già iscritti agli Albi al momento della reintroduzione dell’originario divieto, considerata, altresì, la previsione di un regime di doppia tutela, predisposto dal citato art. 2 ai commi 2 e 4, idoneo a realizzare appieno il bilanciamento dei contrapposti interessi.
La disciplina posta dalla legge n. 339/03, che si occupa di un problema di regolamentazione del pubblico impiego, si riferisce propriamente alla Pubblica Amministrazione ed alle modalità di esercizio di funzioni pubbliche e non tanto all’ordinamento della professione di avvocato, il quale rimane intatto nei suoi principi. Va pertanto esclusa la possibilità di disapplicare la suddetta normativa, e conseguentemente annullare il provvedimento di cancellazione adottato in applicazione della stessa, per asserita contrarietà della stessa con il Trattato istitutivo della Comunità Europea sotto il profilo, estraneo alla suddetta disciplina, della concorrenza tra imprese.
La legge n. 339/03, quand’anche possa ammettersi che ostacoli o dissuada dall’esercizio della libertà fondamentale garantita dall’art. 49 CE, tende a proteggere interessi di rango costituzionale, consistenti, da un lato, nell’imparzialità e nel buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), che richiedono la limitazione di ogni possibile ipotesi di conflitto tra l’interesse privato del pubblico dipendente e l’interesse della p.a., e, dall’altro, nell’indipendenza della professione forense, al fine di garantire l’effettività del diritto di difesa (art. 24 Cost.). L’art. 98 Cost., peraltro, nel prevedere il c.d. obbligo di fedeltà del pubblico dipendente alla nazione, enuncia un principio inconciliabile con la professione forense, naturalmente tesa alla difesa ed il perseguimento esclusivo degli interessi dell’assistito, mentre alla stessa stregua, ma con riguardo alla professione forense, i principi cardine dell’indipendenza del difensore, della fedeltà al mandato conferito dal cliente e del diritto di difesa impongono che il professionista eserciti la propria funzione indipendentemente da qualsivoglia contrastante interesse pubblico o privato, valori che il conflitto tra le due responsabilità (quelle inerenti alla professione e quelle legate all’amministrazione pubblica) è senz’altro suscettibile di pregiudicare. La disciplina posta dalla legge n. 339/03 risponde pertanto a ragioni imperative di interesse pubblico e rispetta pienamente i criteri di ragionevolezza e proporzionalità. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Agrigento, 28 giugno 2007).

Consiglio Nazionale Forense (pres. ALPA, rel. BAFFA), sentenza del 23 ottobre 2010, n. 130

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 130 del 23 Ottobre 2010 (accoglie)
- Consiglio territoriale: COA Agrigento, delibera del 28 Giugno 2007
Giurisprudenza CNF

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