Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte assistita – Assunzione incarico – Prestazione professionale finalizzata ad operazioni illecite – Accertamento – Limiti.

Ancorché sia ben possibile che l’avvocato, nella quotidiana dinamica professionale, venga chiamato a pronunziarsi su fattispecie controverse e, talvolta, poste al confine della legalità, esercita correttamente la propria attività il professionista che denunzi al cliente quei limiti, che segnali i rischi del loro correlativo superamento e che disincentivi tale eventualità. Ne consegue, pertanto, che il professionista deve rifiutare la prestazione professionale richiesta, laddove, dagli elementi conosciuti, possa fondatamente desumere che la stessa possa esser finalizzata ad operazioni illecite (art. 36 c.d.). Al contrario, se, in base agli elementi prospettati e/o conosciuti, la fattispecie non presenta profili di illegittimità, l’avvocato può liberamente prestare la propria attività, non essendo in alcun caso tenuto a svolgere vere e proprie attività di indagine sulle reali intenzioni dei clienti, così da cogliere, in anticipo, il fine recondito che costoro intendono effettivamente perseguire, anche avvalendosi della consulenza che viene loro prestata. (Accoglie il ricorso avverso la decisione C.d.O. di Milano, 11 luglio 2005).

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. CRICRÌ, rel. VERMIGLIO), sentenza del 15 dicembre 2006, n. 155

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 155 del 15 Dicembre 2006 (accoglie)
- Consiglio territoriale: COA Milano, delibera del 11 Luglio 2005
Giurisprudenza CNF

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