Abilitazione forense: il percorso comunitario non può essere (ab-)usato per aggirare le preclusioni oggettive e soggettive che valgono per il cittadino italiano

Se deve escludersi l’abusività della condotta del cittadino che si rechi in altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato a seguito del superamento di esami universitari e faccia poi ritorno, anche dopo poco tempo, nella propria nazione per esercitarvi la professione di avvocato, è altresì vero che non viene meno la possibilità di verificare se, attraverso tale percorso, in realtà si persegua la finalità di esercitare la professione forense versando in condizioni oggettive e soggettive tali che al cittadino italiano precluderebbero invece l’esercizio della professione stessa (Nel caso di specie, al momento della domanda di iscrizione all’albo, il professionista aveva sottaciuto numerosi precedenti penali a suo carico, successivamente scoperti dal COA di appartenenza, che aveva revocato in autotutela l’iscrizione precedentemente deliberata. Il professionista impugnava quindi al CNF tale ultima delibera, sostenendo che, una volta ottenuta l’iscrizione, la sua revoca potrebbe discendere solo dalla cancellazione dell’Ordine straniero di appartenenza, in thesi escludendosi quindi in capo al COA un qualsiasi potere di accertamento delle regole di condotta deontologica poste a base dell’esercizio della professione. Il CNF rigettava il ricorso con sentenza n. 14/2015, che veniva impugnata in Cassazione, la quale dapprima rigettava l’istanza di sospensione con ordinanza n. 15694 del 27 luglio 2015 per difetto di fumus boni juris e, infine, rigettava l’impugnazione anche nel merito con la sentenza di cui in massima).

Corte di Cassazione (pres. Canzio, rel. Petitti), SS.UU, sentenza n. 15200 del 22 luglio 2016

Giurisprudenza Cassazione

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