Si chiede (quesito del COA di Lucca): 1) se debba essere formalizzato un verbale di conciliazione ed in caso affermativo se le modalità di redazione dello stesso debbano limitarsi a dare atto della avvenuta o mancata conciliazione e se debbano altresì esservi riportate le dichiarazioni delle parti e la succinta descrizione dei fatti; 2) se il diritto di accesso ai documenti sia consentito alle parti interessate anche nel caso di mancata conciliazione; 3) se sussista l’obbligo in capo al/ai consiglieri delegati alla conciliazione di riferire alle competenti autorità e/o di attivarsi su eventuali questioni di rilievo penale e disciplinare apprese in fase di conciliazione, anche alla luce della recente disciplina relativa alla mediazione obbligatoria in cui vige il principio che esclude di poter utilizzare le risultanze della conciliazione medesima in giudizio.

L’art. 14 lett. f R.D.L. 1578/33 (cui il COA richiedente intende evidentemente riferirsi nel quesito proposto) non prevede alcuna forma particolare per il tentativo di conciliazione limitandosi a disporre che i C.O.A. “interpongono i propri uffici a richiesta degli interessati per procurare la conciliazione delle contestazioni che sorgono tra avvocati ovvero tra questi professionisti ed i loro clienti in dipendenza dell’esercizio professionale.

Tale procedura costituisce svolgimento di attività amministrativa del C.O.A. non nell’esercizio dei propri poteri autoritativi ma nell’ambito di quell’ampio potere di sorveglianza sull’attività professionale che non può essere limitata, lo si indica esemplificativamente, alla funzione disciplinare (art. 38 L.P.) od alla vigilanza sul decoro dei professionisti (art. 14 lett. b L.P.).
Trattasi di un’attività a tutela non della categoria ma dell’affidamento nella categoria professionale la cui immagine può ben venire lesa dall’esistenza di una controversia che trovi origine “… in dipendenza dell’esercizio professionale”.
Le modalità di svolgimento di tale attività conciliativa sono rimesse alla discrezione del Consiglio nell’ambito del proprio potere di autoregolamentazione e non possono risentire dei precetti applicabili in altre procedure (mediazione – conciliazione, ADR ecc…) che sono sì finalizzate alla conciliazione, ma che non appartengono all’ordinamento professionale forense che ben può conseguire quel medesimo scopo senza necessità di individuare aliunde regole procedimentali.
L’identità tra il termine utilizzato (conciliazione) nell’art. 14 lett. f R.D.L. 1578/33 della Legge Professionale e quello ricorrente nelle sopra richiamate procedure ai fini conciliativi non costituisce argomento interpretativo idoneo ad affermare l’applicabilità alla prima (conciliazione davanti al C.O.A.) della disciplina dettata per le seconde e, specificatamente, di quel principio di inutilizzabilità delle risultanze nel successivo giudizio che è previsto solo dalla norma speciale sulla mediazione (d.lgs.l. n. 28/2010).
Particolare cautela dovrà quindi essere utilizzata per dar conto, da un lato, della serietà del tentativo esperito e per evitare, dall’altro, che la richiesta di conciliazione venga strumentalizzata onde acquisire elementi probatori a favore della parte.
A tale fine, pur sussistendo in proposito la piena facoltà discrezionale del C.O.A., potrebbe essere necessaria e sufficiente una verbalizzazione limitata all’indicazione delle persone presenti, della discussione e dell’esito finale (conciliazione o meno).
Trattandosi di un’attività amministrativa svolta dal C.O.A. nei rapporti esterni, in caso di tentativo di conciliazione dovrà essere consentito l’accesso agli atti a’ sensi della L. 241/90 secondo le modalità di cui al DPR 184/2006: a tale conclusione portano inequivocabilmente sia il fatto che l’organo professionale si configuri come ente pubblico non economico sia l’espressa previsione dell’art. 2 DPR 12/4/2006 n. 184 il quale dispone che il diritto di accesso sia esercitabile “… nei confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico…”.
A’ sensi dell’art. 38 RDL 1578/33 (prescindendo dalla richiesta del P.M. o dalla presentazione dell’esposto) il C.O.A. ha sicuramente il potere/dovere di attivarsi d’ufficio nelle ipotesi in cui venga a conoscenza di fatti tali da integrare “abusi e mancanze” nell’esercizio della professione o, comunque, di “fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale…” essendo irrilevante al fine dell’azione disciplinare la provenienza della notizia criminis.
Nulla vieta, ed anzi il principio sopra richiamato lo impone, che il C.O.A. si attivi in sede disciplinare a seguito di fatti emersi nel corso di un tentativo di conciliazione ex art. 14 RDL 1578/33 precisandosi peraltro che, pur non essendo negoziabile l’azione disciplinare, potrà tenersi conto, in caso di controversia tra colleghi, delle possibilità di composizione bonaria.
La riconosciuta qualità di ente pubblico comporta per il C.O.A. l’applicabilità dell’art. 331 c.p.p. (Cass. 560/2005) qualora abbia notizia di un reato perseguibile d’ufficio nell’esercizio e/o a causa della sua funzione: il chè può sicuramente accadere nell’ipotesi di cui all’art. 14 lett. f RDL 1578/33 costituendo il tentativo di conciliazione tra le parti svolgimento di attività amministrativa nei rapporti esterni.
Ai tre quesiti formulati devono quindi fornirsi le seguenti risposte:
Il verbale di conciliazione e/o mancata conciliazione deve essere formalizzato e documentato, dando conto dei partecipanti, anche attraverso una succinta ricostruzione dei fatti senza necessità di riportare, pur riassuntivamente, le prospettazioni delle parti.
Il diritto di accesso alle parti interessate alla conciliazione deve essere consentito a sensi della legge 241/1990 e nel rispetto delle modalità di accesso di cui al DPR 184/2006.
Sussiste l’obbligo da parte dei Consiglieri delegati alla conciliazione di riferire al Consiglio l’eventuale fattispecie avente rilevanza disciplinare onde consentire l’esercizio del potere/dovere di promuovere la relativa azione.
Sussiste l’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. qualora il C.O.A., nello svolgimento delle proprie funzioni amministrative di carattere conciliativo, abbia notizia di un reato perseguibile d’ufficio.

Consiglio Nazionale Forense (rel. Picchioni), parere del 16 marzo 2011, n. 42

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 42 del 16 Marzo 2011
- Consiglio territoriale: COA Lucca, delibera (quesito)
Prassi: pareri CNF

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