Il Consiglio dell’Ordine di Verona chiede “se sia deontologicamente corretta la produzione di corrispondenza, qualificata riservata dall’estensore, o contenente proposte transattive, qualora la produzione provenga dalla parte che l’ha redatta, non contenga alcun riferimento ad eventuali proposte transattive della controparte e sia formulata con espresso riferimento al disposto dell’art. 91 comma 1 secondo inciso c.p.c.”.

Va premesso che il divieto di cui all’art. 28 del Codice deontologico (c.d.) inibisce la possibilità di provare in giudizio, attraverso la produzione di corrispondenza scambiata tra avvocati od il riferimento al contenuto dello stessa, un atto costituente proposta transattiva all’esclusivo fine di consentire la libertà e la riservatezza della corrispondenza tra avvocati nell’interesse del cliente ma non inibisce di provare in altro modo l’esistenza di una proposta transattiva attraverso diverse prove (testimoniali o documentali).
Ancorché non possa pervenirsi alla soluzione del quesito interpretando le norme processuali, va premesso che l’ambito applicativo delle nuove disposizioni pare far riferimento al tentativo di conciliazione previsto per il processo ordinario di cognizione ex art. 185 c.p.c.: la modifica dell’art. 91 c.p.c. è stata infatti introdotta in tema di responsabilità generale delle parti in sede processuale, essendo contenuta nel capo IV del Titolo III del vigente c.p.c., mentre sul piano letterale non vi sono elementi che portino a ritenere che l’applicazione dell’art. 91 c.p.c. co. 1° secondo inciso possa essere estesa anche ai tentativi conciliativi stragiudiziali di talché anche quanto accada al di fuori del processo possa essere valutabile al fine della condanna alle spese.
L’interpretazione testuale della lettera del II comma dell’art. 91 c.p.c., e cioè la limitazione dell’oggetto della condanna alle sole spese del processo “maturate dopo la formulazione della proposta” (non accettata), porta a ritenere che la proposta conciliativa prevista dalla norma in parola sia solo quella formulata dopo la proposizione della domanda giudiziale essendo dirimente la pendenza della causa che, secondo lo schema previsto dall’art. 185 c.p.c., non prevede una pluralità di procedure conciliative giudiziali ma solo quella che si instaura a seguito di concorde richiesta delle parti.
Prescindendo dall’enunciato letterale della norma (comunque di dubbia interpretazione anche in dottrina quanto alla individuazione della proposta conciliativa rilevante) va osservato che estendere la valenza ex art. 91 c.p.c. ad ogni forma di proposta transattiva proveniente dall’avvocato significherebbe privare di ogni significato i principi sottesi all’art. 28 c.d. consentendo di aggirarne il divieto facendo strumentalmente intervenire il cliente sul piano extraprocessuale per acquisire elementi a sostegno della propria posizione processuale, introducendo nella causa una corrispondenza non finalizzata a convinti tentativi di conciliazione ma, piuttosto, ad evitare o limitare le condanne nelle spese.
É da osservare che, costituendo la non producibilità della corrispondenza scambiata tra colleghi un obbligo particolare nell’ambito del più ampio dovere di segretezza e riservatezza di cui all’art. 9 C.D., riconoscerne la possibilità di produzione a fini di cui all’art. 91 c.p.c. co. 1° comporterebbe l’introduzione di un tertium genus di corrispondenza (comunque producibile, mai producibile e producibile ex art. 91 c.p.c.) che determinerebbe l’attenuazione della portata del precetto deontologico, con una conseguente riduzione dell’affidamento nei confronti dell’avvocato, proprio in virtù dell’indebita dilatazione delle ipotesi derogatorie al divieto di produzione.
Riconoscere la possibilità di produzione della corrispondenza relativa a qualsiasi ipotesi di procedura conciliativa si porrebbe quindi non solo in contrasto con il valore della dimensione deontologica, che non deve essere contenuta nell’ambito strettamente professionale, ma pregiudicherebbe l’interesse sostanziale del cliente limitando la discrezionalità della condotta dell’avvocato che sarebbe costretto ad orientare le proprie difese, da svolgersi invece con prudente riservatezza ed ampia libertà, curando di evitare che il tenore della propria corrispondenza possa avere ripercussioni sulla pronuncia in ordine alle spese: si deve quindi affermare che le modifiche intervenute all’art. 91 c.p.c. non possono comportare una deroga al divieto di produzione della corrispondenza scambiata tra colleghi di cui all’art. 28 c.d.

Consiglio Nazionale Forense (rel. Picchioni), parere del 28 marzo 2012, n. 11

Quesito n. 116

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 11 del 28 Marzo 2012
- Consiglio territoriale: COA Verona, delibera (quesito)
Prassi: pareri CNF

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