Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Vicenza, con nota del 4 febbraio 2013, ha richiesto parere in merito alla “compatibilità dell’iscrizione all’albo degli avvocati da parte di chi collabori nella impresa familiare costituita ex art. 230 bis c.c. e nella quale l’imprenditore è uno dei genitori”.

Il quesito, secondo la prospettazione del Consiglio rimettente, si concentra sull’ambito delle incompatibilità all’esercizio professionale, delineato dall’art. 18 della Legge 31 dicembre 2012 n. 247 recante la riforma dell’ordinamento forense.
L’anzidetta disposizione connette l’incompatibilità a determinate posizioni giuridico-soggettive del professionista, connesse ad attività continuative o professionali di lavoro autonomo o subordinato, nonché all’esercizio di impresa commerciale in nome proprio o in nome e per conto altrui.
In via di principio generale i precetti legislativi, che direttamente incidono – come, appunto, quelli in tema di incompatibilità – sul diritto dell’individuo a svolgere, essendo in possesso dei prescritti requisiti di legge, una determinata attività, costituiscono norme di stretta interpretazione e non sono suscettibili di estensione analogica.
L’impresa familiare è istituto giuridico afferente l’organizzazione patrimoniale della famiglia, il quale assume – secondo le prevalenti giurisprudenza e dottrina – i connotati dell’impresa individuale, con conseguente attribuzione all’imprenditore delle funzioni gestorie e degli oneri ed obblighi connessi all’esercizio dell’attività d’impresa; la giurisprudenza ha, altresì, significativamente caratterizzato il ruolo del familiare collaboratore, all’interno dell’impresa, indipendentemente dalla circostanza che la sua opera sia funzionale all’attività della stessa (dandosi, quindi, rilievo anche alla mera attività in ambito familiare).
Secondo la fattispecie normativa astratta, del resto, il collaboratore ha semplicemente diritto al mantenimento ed alla partecipazione all’eventuale utile rinveniente dall’impresa, non essendo contemplata alcuna altra forma di retribuzione della sua opera.
D’altro canto, va pure esclusa – sulla base della nitida definizione dalla dall’art. 230 bis c.c. all’istituto – la concorrenza di alcuna forma di responsabilità in capo al familiare collaboratore; con ciò dovendosi escludere una sua compartecipazione all’attività di gestione.
In tale ambito ricostruttivo, la Commissione ritiene che non si configura incompatibilità tra l’iscrizione all’albo forense e la prestazione di attività inerenti al funzionamento dell’impresa familiare.

Consiglio Nazionale Forense (rel. Berruti), parere 20 febbraio 2013, n. 20

Quesito n. 221 del COA di Vicenza

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 20 del 20 Febbraio 2013
- Consiglio territoriale: COA Vicenza, delibera (quesito)
Prassi: pareri CNF

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