L’Avvocatura distrettuale (de L’Aquila) chiede parere circa la possibilità di accogliere quale praticante avvocato presso i proprî ufficî un ispettore superiore di P.S., atteso che l’Ordine locale ne ha respinto la domanda di iscrizione in relazione al suo status di appartenente alle forze dell’ordine. La scrivente amministrazione evidenzia che l’interessato ha ottenuto l’autorizzazione dell’ente di appartenenza a svolgere la pratica legale ai sensi del T.U. sul pubblico impiego.

La Commissione, dopo ampia discussione, adotta il seguente parere:

“Si deve senz’altro confermare il precedente e consolidato orientamento della Commissione che ravvisa nell’appartenenza alle forze dell’ordine un elemento ostativo all’iscrizione nel registro dei praticanti avvocati.

Sul tema sono, infatti, intervenuti i pareri 22 novembre 2006, n. 83, 14 dicembre 2005, n. 93 e già 14 aprile 2000, n. 124.

Ad essere incompatibile con l’esercizio delle funzioni di praticante avvocato non è la condizione di pubblico dipendente, quanto piuttosto lo status particolare cui è sottoposto l’agente e l’ufficiale di pubblica sicurezza.

Su tali soggetti, infatti, grava un dovere di intervento ed un obbligo di denuncia di fatti comunque appresi che non può ritenersi conciliabile con il dovere di riservatezza cui è tenuto il praticante avvocato. Non a caso infatti, similmente ai doveri che incombono sull’avvocato, anche il regolamento che disciplina la pratica forense afferma che la pratica debba essere svolta con “…assiduità, diligenza, dignità, lealtà e riservatezza” (art. 1, D.P.R. 10 aprile 1990, n. 101). L’obbligo di riservatezza, in particolare, presenta profili di indubbia problematicità, ove si consideri che l’ispettore di P.S. ha comunque l’obbligo di rapporto, cioé il dovere di informare immediatamente i superiori e l’autorità giudiziaria competente qualora dovesse venire a conoscenza, per qualsiasi ragione, di una notitia criminis.

A ciò si aggiunge che nell’ordinamento delle forze di polizia, sia a carattere militare che non, sono presenti elementi di subordinazione gerarchica di entità tale da non poter essere compatibili con l’indipendenza necessaria allo svolgimento di attività forensi.

Per quanto esposto la tutela dei fondamentale doveri di segreto professionale e di fedeltà al cliente impongono di negare l’iscrizione dell’appartenente alle forze dell’ordine nel registro dei praticanti.

L’esistenza di un’autorizzazione allo svolgimento della pratica forense, concessa da parte dell’amministrazione di appartenenza ai sensi dell’art. 53 del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, non muta i termini della questione, atteso che detta autorizzazione è necessaria a tutelare l’interesse della P.A. a che il pubblico impiegato sia al suo esclusivo servizio e non percepisca compensi da terzi senza previo assenso dell’ufficio di appartenenza. Al contrario l’incompatibilità tra lo status di appartenente alle forze di polizia e la condizione di praticante avvocato scaturisce dalla necessità di tutelare il libero esercizio della funzione giudiziaria e dei diritti di difesa, che si collocano all’evidenza su di un altro piano.”

Consiglio Nazionale Forense (rel. Bianchi), parere del 24 ottobre 2007, n. 39

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, parere n. 39 del 24 Ottobre 2007
- Consiglio territoriale: COA, delibera (quesito)
Prassi: pareri CNF

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