Avvocato – Tenuta degli albi – Dipendente pubblico – Incompatibilità sopravvenuta – Cancellazione – Legittimità

Secondo il condiviso insegnamento della Suprema Corte “le attività il cui esercizio è ritenuto incompatibile, a norma dell’art. 3 R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, con le professioni forensi non sono caratterizzate dalla professionalità, ossia dalla normalità del loro esercizio in vista dell’attitudine a produrre reddito, bensì dalla idoneità ad incidere negativamente sulla libertà del professionista, idoneità che può, di volta in volta, derivare dall’essere esse dirette alla cura di interessi che possono interferire nell’esercizio delle suddette professioni, ovvero dalla subordinazione che esse determinano nei confronti di terzi, ovvero, infine, dai poteri che esse comportano su chi le esercita”. Ne consegue che l’attività subordinata (pubblica o privata) deve certamente dirsi incompatibile con l’iscrizione all’albo, per difetto del requisito dell’indipendenza, dovendo ravvisarsi la ratio di un siffatto principio nell’esigenza di tutelare l’indipendenza della professione e l’autonomia di giudizio e di iniziativa degli avvocati nella difesa del cliente, requisiti la mancanza dei quali incide negativamente sulla libertà di determinazione del professionista. (Nella specie, si trattava di un avvocato iscritto all’Albo e dipendente della Regione Molise). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Isernia, 25 febbraio 2010).

Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Florio), decisione del 21 aprile 2011, n. 57

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 57 del 21 Aprile 2011 (respinge)
- Consiglio territoriale: COA Isernia, delibera del 25 Febbraio 2010
Giurisprudenza CNF

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