I doveri deontologici dell’avvocato-arbitro

Il codice deontologico forense (art. 61 cdf, già art. 55 codice previgente nonché art. 9 cdf, già art. 5 codice previgente) impone l’indipendenza e l’imparzialità dell’arbitro, senza distinzione tra arbitro rituale e irrituale, né di ruolo tra presidente e arbitro di parte, cosicché l’arbitro non soltanto deve essere indipendente e imparziale ma anche apparire tale, in un ruolo di sostanziale e formale terzietà nel giudicare la controversia con il necessario distacco dalle parti e dai loro difensori. Conseguentemente, anche a prescindere dall’eventuale consenso delle parti che ne fossero edotte, costituiscono circostanze intrinsecamente incompatibili con i predetti doveri la condivisione dei locali dello stesso studio con il difensore delle parti, la nomina proveniente dalle parti con l’assistenza dello stesso difensore, il rapporto di coniugio o convivenza more uxorio tra difensore e arbitro. Infine, quanto all’individuazione del dies a quo prescrizionale, tale illecito deve ritenersi di tipo continuato fino alla pronuncia del lodo.

Consiglio Nazionale Forense (pres. Mascherin, rel. Pasqualin), sentenza del 27 dicembre 2018, n. 217

Classificazione

- Decisione: Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 217 del 27 Dicembre 2018 (respinge) (censura)
- Consiglio territoriale: COA Novara, delibera del 10 Dicembre 2013 (censura)
- Decisione correlata: Corte di Cassazione n. 7761 del 09 Aprile 2020 (respinge)
Giurisprudenza CNF

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